domenica 23 marzo 2008

L’APPROCCIO TERRITORIALISTA ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE

Università degli Studi Roma 3 Facoltà di Architettura
Corso di Progettazione e pianificazione sostenibile
A.A 2006/2007
Prof. Alessandro Giangrande

I fondamenti dell’approccio territorialista
L’approccio territorialista, sviluppato nell’ambito dell’omonima scuola, evidenzia come i problemi della sostenibilità dello sviluppo mettano in primo piano la valorizzazione del patrimonio territoriale — nelle sue componenti ambientali, urbanistiche, culturali e sociali — come elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza.
Il territorio viene concepito come prodotto storico di processi coevolutivi di lunga durata tra insediamento umano e ambiente, tra natura e cultura, ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. Questi processi producono un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di identità, di caratteri tipologici, di individualità: dunque sistemi viventi ad alta complessità.
Per tutta un’epoca storica della modernità, culminata con il fordismo e la produzione di massa, le teorie tradizionali dello sviluppo hanno considerato e utilizzato il territorio in termini sempre più riduttivi, negando il valore delle sue qualità intrinseche.: il produttore/consumatore ha preso il posto dell’abitante, il sito del luogo, la ragione economica della ragione storica. Il territorio, da cui l’uomo si è progressivamente liberato considerandolo un insieme di vincoli negativi (ambientali, energetici, climatici, costruttivi, localizzativi, ecc.) per il compiersi della modernizzazione, è stato trattato come puro supporto tecnico di attività e funzioni economiche che sono localizzate e organizzate secondo principi sempre più indipendenti da relazioni con il luogo, con le sue qualità ambientali e culturali: qualità che derivano appunto dalla sua costruzione storica di lungo durata.
Questo processo ha determinato la d e s t r u t t u r a z i o n e del territorio (o deterritorializzazione) in:
  • luoghi usati per l’urbanizzazione delle periferie industriali e delle conurbazioni metropolitane che ha travolto toponimi, paesi, culture, paesaggi agrari; che li ha trasformati in aree edificabili, li ha sepolti in zonizzazioni e macrofunzioni dei cicli produttivi e riproduttivi della grande fabbrica;
  • luoghi montani e collinari rilevantissimi per estensione (l’osso apenninico e i sistemi pedemontani e collinari prealpini) e per storia (la ricca civilizzazione delle città collinari), che sono stati in gran parte ambientalmente degradati e culturalmente destrutturati vuoi dall’abbandono, vuoi da modelli insediative decontestualizzati, vuoi ancora dalla localizzazione di funzioni periferiche e nocive del sistema produttivo
  • alcuni luoghi di pianura rasi al suolo per attrezzare la cosiddetta industria verde che ha trasformato i ricchi e diversificati paesaggi agrari in un deserto meccanico-chimico;
  • luoghi costieri monofunzionalizzati al loisir del produttore/consumatore massificato, con la cementificazione continua della linea di costa e la
  • svalorizzazione dei paesaggi collinari dell’entroterra.
Questo processo di deterritorializzazione non sarebbe giustificato neppure
dall’esigenza di assicurare a una quota parte più ampia della popolazione quelle
condizioni di benessere materiale che, in passato, avevano permesso soltanto a una minoranza di conseguire tenori di vita elevati o medio-elevati.
Infatti, a partire dagli anni ’70, la crescita del benessere conseguente alla diffusione del modello di sviluppo occidentale si è interrotta e si sono prodotte nuove povertà invece che ricchezza. Il divario tra crescita economica e benessere è evidente non solo nel terzo mondo, con la crescita di povertà materiali ed estreme, ma anche nel primo mondo, con l’aumento di nuove forme di povertà (povertà da sviluppo). Daly e Cobb, analizzando il PIL e l’ISEW (Index of Sustainable Economic Welfare) — ottenuto aggiungendo e sottraendo alcuni costi da esternalità non incluse nel tradizionale calcolo del PIL — hanno evidenziato come l’andamento di questi indici abbiano per l’USA un andamento parallelo e crescente fino al 1975: negli anni successivi, mentre il PIL continua a crescere, l’ISEW diminuisce rapidamente mostrando un andamento peggiorativo delle condizioni di benessere. La questione più rilevante ai fini dell’approccio territorialista è che i fattori correttivi dell’ISEW, misurati come costi sostenuti dalla collettività, riguardano principalmente aspetti relativi al degrado urbano, territoriale e ambientale: si tratta dunque di nuove povertà indotte dai modelli della crescita quantitativa.
Per contrastare il processo di deterritorializzazione l’approccio territorialista riferisce la sostenibilità all’attivazione di sistemi di relazione virtuose tra le tre componenti del territorio: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente antropico; la produzione di alta qualità territoriale (e non solo ambientale) è la precondizione della sostenibilità, dal momento che la produzione di territorio è assunta come base della produzione della ricchezza. Il concetto di sostenibilità dello sviluppo è riferito non solo alla riproducibilità delle risorse naturali (sostenibilità ambientale), ma a sistemi complessi e interagenti di valutazioni che riguardano l’organizzazione non gerarchica dei sistemi territoriali e urbani (sostenibilità territoriale), la coerenza dei sistemi produttivi con la valorizzazione del patrimonio territoriale e con lo sviluppo dell’imprenditorialità locale (sostenibilità economica) e la crescita di autogoverno delle società locali (sostenibilità sociale e politica).
L’approccio territorialista intende perseguire tutte queste forme di sostenibilità e assume come elemento chiave della sua azione la promozione di sviluppo locale autosostenibile, dove il termine ‘locale’ vuole mettere in evidenza la valorizzazione delle risorse territoriali e l'identità di un luogo, mentre ‘autosostenibile’ sta ad indicare l'importanza di una ricerca di regole insediative, economiche e politico- sociali produttrici di omeostasi locali e di equilibri a lungo periodo tra ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico.
Lo scopo della pianificazione non può essere allora solo la salvaguardia ambientale, ma la qualità complessiva del territorio e dell'abitare. Se la produzione moderna considera l'abitante come il consumatore di un prodotto — l'abitazione — l'approccio territorialista intende restituire all'abitante un ruolo attivo di produttore diretto di manufatti e significati, e all'abitare la sua dimensione processuale, come atto: da qui l'importanza delle pratiche di p a r t e c i p a z i o n e, di a u t o p r o d u z i o n e , di autoprogettazione e di autocostruzione.
Lo sviluppo locale autosostenibile va allora inteso anche come lo sviluppo delle
culture, dei soggetti economici e delle tecniche in grado di attivare sinergicamente autoaffidamento, cura dei bisogni fondamentali e promozione di ecosviluppo, come la crescita delle società locali, il rispetto delle differenze e delle specificità culturali, l'individuazione di modalità dell'abitare fondate su nuovi principi quali l'autodeterminazione, la produzione di ricchezza riferita ai valori territoriali, il raggiungimento di equilibri ecosistemici alla scala locale.
L’approccio territorialista differisce da tutti gli altri approcci allo sviluppo sostenibile (compreso quello dell’Ecological Economics) per la maggiore attenzione alla scala locale e perché considera inscindibile la sostenibilità ambientale da quella culturale, sociale, politica ed economica.
In particolare in questo approccio l’efficienza tecnologica non costituisce il fattore risolutivo per contrastare il grave processo in atto di degrado ambientale. La smaterializzazione dei prodotti, il risparmio energetico, lo sviluppo di nuove e più efficaci tecniche di smaltimento e di riciclo dei materiali ecc. possono soltanto contribuire a rallentare tale processo, ma non sono sufficienti a ricreare quella cultura di autogoverno e di cura del territorio che sola può invertirne il segno. “La sostenibilità del territorio non può infatti essere affidata a macchine tecnologiche e a economie eterodirette, ma a una riconquistata sapienza ambientale e di produzione del territorio da parte degli abitanti” (Magnaghi 1997).

BIBLIOGRAFIA
Magnaghi, A. (a cura di) (1990), Il territorio dell’abitare, Franco Angeli, Milano.
Magnaghi, A. (1997), La dialettica locale/globale per uno sviluppo locale autoso-
stenibile, Firenze, non pubblicato.
Magnaghi A (a cura di) (1998), Il territorio degli abitanti, Dunod, Milano.
Magnaghi, A. (2000), Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Milano.
Magnaghi A. e Paloscia R. (a cura di) (1992), Per una trasformazione ecologica degli insediamenti, Franco Angeli, Milano

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