venerdì 29 febbraio 2008

Edgard Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001

Edgard Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001

Edgar Morin, sociologo, è una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. Tra le sue opere tradotte in italiano: “Il paradigma perduto” (Milano 1974), “Terra-Patria” (Milano 1994), e “I miei demoni” (Roma 1999).

Questo brillante testo è parte di una "trilogia pedagogica" di cui sono parte anche La testa ben fatta(2000) e Relier les connaissances (1999).

Nella nostra epoca ci confrontiamo con sfide che accomunano tutti: l'interdipendenza planetaria mette in gioco problemi inediti. Per affrontarli abbiamo bisogno di una conoscenza adeguata che Morin ci propone attraverso un "filo rosso", una riforma di pensiero che lega i tre libri. In particolare, nel libro che abbiamo deciso di prendere in considerazione, sono esplicitati i sette saperi "fondamentali" che l'educazione dovrebbe prendere in considerazione in ogni società e cultura per un futuro vivibile. La riforma viene intesa come riforma del soggetto che pensa e del pensiero rivolto ad un oggetto, quindi come riforma dell'uomo che conosce e degli oggetti di questa conoscenza. L'autore pone alla base di questa riforma paradigmatica, del pensiero e dell'insegnamento, il pensiero complesso (è una visione contestuale e relazionale nelle scienze del vivente e della cognizione).

La questione di fondo è l'emergenza di un'inadeguatezza sempre più marcata tra i saperi e la realtà, tra la cultura e i problemi quotidiani che affrontiamo. I nostri saperi diventano ogni giorno più frazionati, disgiunti, iperspecializzati mentre i problemi si fanno sempre più multidimensionali, globali, trasversali. Questa separazione delle discipline ci rende impossibile cogliere le situazioni nel loro complesso. I problemi per essere compresi adeguatamente devono essere posti e pensati nel loro contesto, che oggi non può che essere planetario.

La sfida del globale è oggi una sfida di complessità.

La complessità si presenta quando sono inseparabili le diverse parti che costituiscono il tutto (sfera economica, politica, sociologica, psicologica, affettiva…) e quando le parti e il tutto sono legate attraverso interdipendenze interattive e inter- retroattive (dinamiche non lineari, imprevedibili nel complesso. La retroazione è l'idea fondamentale che differenzia i sistemi meccanici da quelli viventi. Es.: sistema a rete. Per comprendere meglio: A agisce su B che agisce su C il quale agisce con un feedback su A). Questa inadeguatezza tra saperi e problemi ha prodotto molti errori e illusioni; ora la sfida consiste nell’organizzare il sapere e la conoscenza in modo diverso. Si impone la necessità di insegnare dei metodi che permettano di cogliere le relazioni e le influenze reciproche tra le parti e il tutto, per fare in modo che la visione sia più vicina a quella del mondo per quello che è, un mondo complesso. Ogni conoscenza deve poter essere applicata al suo contesto, per essere pertinente. Perciò la nuova sfida consiste nella riforma del pensiero umano, un pensiero che non sia più dualistico, che vada oltre la logica "causa ->effetto", che sia governato contemporaneamente "dal sì e dal no".

Perciò l'oggetto dell'educazione si trasforma dal dare una quantità sempre maggiore di informazioni e conoscenze al costituire uno stato interiore capace di orientare l'educando per tutta la vita. Un orientamento che educa il pensiero e l'emozione alla comprensione di sé e degli altri. Istruire alla comprensione è basilare a tutti i livelli e a tutte le età poiché è la base dell'educazione alla pace. La comprensione degli altri si sviluppa grazie a quel modo di pensare che permette di prendere coscienza della complessità umana. Questo avviene anche grazie all'introspezione cioè all'auto esame di sé, perché intuire le nostre debolezze o mancanze è la via per la comprensione di quelle altrui. Spesso ignoriamo i riti e i costumi altrui, i valori imperativi e etici di altre culture, non riusciamo a comprendere idee e argomenti di un'altra visione del mondo. Trascurando queste differenze si nutrono l'egocentrismo, le xenofobie e l'indifferenza. Morin è convinto della necessità di studiare l'incomprensione alle sue radici, nelle sue modalità e nei suoi effetti per imparare a comprendere e comunicare con l'altro in maniera positiva.

Anche l'incertezza svolge un ruolo fondamentale nell'educazione poiché la condizione umana ne è segnata. Ci sono incertezze cerebro- mentali, logiche, razionali, psicologiche, epistemologiche. La conoscenza non è l'approdo alla certezza ma un dialogo con l'incertezza e un evento quotidiano da tener presente. Dobbiamo educarci all'incerto, predisporre la mente ad aspettare l'inatteso per affrontarlo, formare il nostro mondo usando il pensiero in modo ecologico, strategico, intraprendente. Pensare in modo ecologico è la pratica cognitiva che si sforza di contestualizzare e globalizzare le informazioni, lottare contro la propria menzogna (di sé perché il pensiero inganna), vivere nell'imprevedibilità cioè rendersi conto che le conseguenze ultime delle azioni non sono determinabili a priori (es.: quanto male si fa, facendo del bene?). Il pensiero strategico è la capacità cognitiva e affettiva di procedere per obiettivi all'interno di più scenari di azione incerti. Il pensare intraprendente consiste nel procedere per "scommesse". La scommessa è l'interazione fra incertezza e speranza.

Oggi essere chiamati a insegnare significa partecipare alla formazione di una nuova etica dell'umano. Credere nella possibilità di una nuova creazione, quella della cittadinanza terrestre, sperando in una politica al servizio dell'essere umano che riapra la strada al concetto di “abitare la terra”, concepita come casa-giardino comune dell'umanità.

Per la realizzazione di questa terra-patria dobbiamo creare una cultura che ci permetta di distinguere e contestualizzare ma anche globalizzare; insegnare a pensare alle incertezze e ai paradossi, favorendo l'uso del pensiero strategico; insegnare l'identità terrestre, cioè l'indistricabile livello di interazione che abbiamo raggiunto sul pianeta. Apparteniamo a una cultura interconnessa e interdipendente, per questo è basilare salvare sia l'unità che la diversità umana in una comprensione planetaria.

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