venerdì 15 novembre 2013

«Il colpo di Stato di banche e governi»

Alla fine va però osservato che pensare di indurre codesto sistema a comportarsi meglio per mezzo di un piú esteso apparato giuridico, anche se qualcosa in questo campo si dovrà pur fare, equivale a voler insegnare a Terminator III le buone maniere per stare a tavola. Bisognerebbe invece portarlo in un’officina che lo smonti una volta per tutte, in modo da poter riservare a un sistema drasticamente ridimensionato le indispensabili funzioni economiche delle banche e della finanza. Luciano Gallino, Il colpo di Stato di banche e governi *** Un micidiale atto d’accusa contro il sistema finanziario, «ambiente criminogeno» che ha annientato l’economia reale cannibalizzando il lavoro, distruggendo i diritti, destrutturando le democrazie. […] Dio solo sa quanto c’è bisogno di denunce coraggiose come quella di Gallino. Schiaffi salutari al cinismo e al conformismo di questi tempi di ferro. Massimo Giannini ­– «La Repubblica» *** Con il solito e condivisibile spirito polemico, Luciano Gallino parla del potere esercitato dalle banche in Italia. Un saggio che fornisce una miniera di informazioni e ricostruzioni di quanto accaduto nel nostro paese negli ultimi anni. Un punto di vista, quello dello studioso torinese, che merita attenzione e di essere discusso, proprio per la tesi che propone: il colpo forse mortale alla democrazia italiana è venuto dalle banche e dalla finanza. «Il manifesto» *** Rappresentata sovente come un fenomeno naturale, o come un incidente tecnico capitato per sfortuna nel perfetto funzionamento del sistema finanziario, la crisi che stiamo attraversando dal 2007 non ha niente, ci dice in questo libro Luciano Gallino, di naturale o di accidentale. Essa è piuttosto il risultato di una risposta sbagliata che la politica ha dato al rallentamento dell’economia reale, in corso da lungo tempo, attribuendo alla finanza un potere smisurato. La crisi, spiega dettagliatamente Il colpo di Stato di banche e governi, è un fenomeno strutturale. Ma le «strutture» non operano da sole: hanno bidogno di persone. La crisi, dunque, è soprattutto conseguenza di «azioni compiute da un ristretto numero di uomini e donne che per lungo tempo, tramite le organizzazioni di cui erano a capo o in cui operavano, hanno perseguito consapevolmente determinate finalità economiche e politiche, in parte perché l’ideologia da cui erano guidate non consentiva loro di scorgere alternative, in parte per soddisfare i propri interessi o quelli di terze parti». Il tutto «senza darsi minimamente pensiero delle conseguenze che le azioni stesse potevano produrre a danno di un numero sterminato di individui». Ecco, ciò che davvero colpisce è l’esiguità del numero degli attori rispetto al numero enorme delle vittime. Gli attori del «più grande fenomeno di irresponsabilità sociale di istituzioni politiche ed economiche che si sia mai verificato nella storia» sono stati i dirigenti di mega entità finanziare di vario genere; che hanno agito con la complicità diretta o indiretta dei traders, dei legali, dei consiglieri economici dei capi di governo o dei capi di stato, degli economisti e degli intellettuali. A subire le conseguenze delle loro azioni ­– disoccupazione, occupazione precaria, povertà – un’immensa quantità di persone. Tragicamente, c’è di più: salvo rarissime eccezioni, nessun responsabile della crisi è stato riconosciuto come tale, né sottoposto a una qualsiasi sanzione che non fossero le critiche di una parte (piuttosto esigua) dei media. Quello che invece è accaduto, dal 2010 in poi, è che proprio le vittime della crisi si sono viste chiedere perentoriamente dai loro governi di pagare i danni che essa ha provocato, dai quali proprio loro sono stati colpiti su larga scala. Com’è stata (ed è ancora) possibile una simile concatenazione di eventi paradossali? E soprattutto, cosa si può fare per interromperla? Dopo aver analizzato le origini della crisi in Europa e negli Stati Uniti, e dopo aver raccontato come si sia arrivati a un vero e proprio colpo di Stato, nella terza parte del suo libro Gallino prova a rispondere a queste cruciale questioni, tracciando delle possibili politiche anti-crisi. Cominciando dall’informazione, per arrivare al lavoro. Perché, come scrive l’autore in uno degli ultimi capitoli del libro, è l’occupazione che genera sviluppo, non il contrario. Un libro imprescindibile, duro e appassionato, che senza alcuna reticenza mette a nudo i meccanismi della crisi, e individua i colpevoli del danno: solo così, partendo da un’attribuzione chiara di responsabilità, è possibile immaginare una cura.

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