lunedì 28 dicembre 2009

Neonomadismo 4

Nomadi foste e nomadi tornerete a essere
Arianna Dagnino. Giornalista. Roma. Italia

"Nomadi foste e nomadi tornerete a essere": quella che un tempo fu la condizione primigenia dell'uomo
- pastore nomade errante, cacciatore e raccoglitore - potrebbe ripresentarsi ora – in chiave digitale - alle
soglie del terzo millennio.
I continui “salti” tecnologici e la tanto citata globalizzazione spingono inesorabilmente sulle vie
del neonomadismo esistenziale, culturale e professionale. I tratti della mutazione che quest’evoluzione
induce e, al tempo stesso, richiede, sono essenzialmente due. Il primo è il recupero di una “vision” di
comportamento e di azione libera e flessibile, aperta e senza confini precostuiti, che, fatte le debite
proporzioni, non a caso avevano sviluppato in risposta all’ambiente circostante - e non per scelta ma
per sopravvivenza - i nostri antenati boscimani e aborigeni. Questa è la grande sfida che ci attende: fare
i conti (quindi sviluppare l’adeguato spirito di adattamento) con una realtà dove non esistono più un
unico centro, una sola direzione o un punto perennemente stabile di riferimento.
Il secondo “cardine” neonomade è l’affermarsi di uno spirito che rifugge dalle ristrette logiche
del consumismo forzato (a partire dal “consumo” a oltranza del proprio lavoro) per “rimettere” al
primo posto nella scala dei valori condivisi l’arricchimento culturale, emozionale ed esperienziale.
Al momento attuale i “nuovi nomadi” sembrano quasi uno sparuto gruppo di arditi cavalieri
proiettati nel futuro che prova a vivere prima degli altri secondo parametri e valori di una nuova
civiltà. La tavola però è aperta e democratica. In fin dei conti per farne parte basta una presa di
coscienza, ovvero rendersi conto che flessibilità e adattabilità sono le sole coordinate funzionali ad
attraversare – in senso lato e non – il mondo in questo momento storico e, ancor più, lo saranno in
futuro.
In sostanza essere “neonomade” significa aver interiorizzato la consapevolezza che gli schemi
rigidi e la “sedentarietà” di pensiero e convinzioni sono “lussi” non più consentiti oggi e che,
soprattutto, non lo saranno domani, in uno scenario in cui le nuove tecnologie spingono verso
trasformazioni di ogni tipo sempre più rapide e comprimono le distanze socio-geografiche – e, per
certi aspetti, persino psicologiche - tra popolazioni e “genti” anche lontanissime fra loro per distanza
fisica, per cultura o per modo di percepire l’esistenza.
In altre parole “nuovo” nomade è chi riesce ad assecondare la mutazione in corso, traendone
energia vitale, spinta propulsiva ma anche opportunità per il proprio lavoro, invece che subirla
passivamente, negarla o contrastarla spaventato.
Certo, non sono tutte rose e fiori sulle vie del nuovo nomadismo, anzi. Per fare un esempio
molto concreto, la vita “fuori degli schemi” e senza “posto fisso” (cade tra l’altro il concetto di
“carriera a vita” ed emerge il valore della “carriera multipla”, che consente scarti laterali e incursioni in
campi apparentemente anche molto distanti dal proprio background iniziale) può essere
destabilizzante, difficile da gestire nella quotidianità del vivere. Soprattutto perché spesso ci si trova
tuttora immersi in un contesto per molti aspetti “opposto”, che contempla la consequenzialità e non la
discontinuità, che privilegia la linearità rispetto al mosaico, che fa correre su un binario più che nello
spazio aperto.
Realizzare in concreto un progetto di vita nomade significa capire che le radici profonde che ti
danno stabilità ed equilibrio interiore non sono più “esterne” (legate alla geografia, ai luoghi, alle
omologazioni sociali e burocratiche, con tutto il corredo di appartenenze e identificazioni
nazionali/regionali/provinciali) ma te le porti “dentro” e sono nutrite dalla relazione con le persone (il
gruppo dei pari, degli amici, delle conoscenze allargate che condividono, sostengono o semplicemente
apprezzano il tuo percorso nomade).
Verranno a crearsi nuove tribù, non fondate su legami di parentela o di territorio ma su una
condivisione di intenti, di interessi, di stili di vita.
Come un tempo gli antichi nomadi avevano una serie di punti di riferimento fisici nelle loro
erranze (che fossero souk, oasi, caravanserragli), così i moderni nomadi cercheranno nella grande rete
delle loro relazioni personali e virtuali i nodi della propria stabilità emozionale, sociale, professionale.
Ma immagino che anche “geograficamente” finiranno per crearsi delle aree – che io nel libro ho
chiamato “enclave” – in cui le infrastrutture, i ritmi e, magari, persino le regole saranno tagliate su stili
di vita che si richiamano al neonomadismo: abitazioni “plug ’n play”, scuole orientate
all’apprendimento olistico e quindi capaci di generare uomini e donne “di sapere rinascimentale”,
lavori ad alta intensità di virtualità. Una sorta di TAZ (dalle Total Autonomous Zones di Hakim Bey) in
versione neonomadica.

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