lunedì 2 gennaio 2012
Resilienza
Luca Mercalli, meteorologo di Che tempo che fa su RaiTre, ha recentemente scritto e dato alle stampe un saggio dal titolo Prepariamoci, pubblicato da Chiarelettere, casa editrice legata alla Sellerio. Nel suo saggio Mercalli sostiene argomentazioni difficilmente confutabili.
Dalla crisi che ci attanaglia – sostiene l’autore – sembra che non si sia tratto alcun insegnamento. Sembra che proprio non la si sia compresa. E quindi che la si voglia risolvere con strumenti inadeguati. Ovvero il solito “inno alla crescita” ma, chissà perché, la crescita è “evaporata”. E allora arrivano i tagli. Ma i tagli possono andar bene per tappare qualche buco. Poi, se non si risolve il problema alla radice, tra poco toccherà tagliare di nuovo e così via, fino alla disgregazione dello “stato sociale” e, di conseguenza, della società italiana.
La “radice” è nel fatto che l’età della crescita è finita. Il pianeta Terra si trova in “riserva”, per usare un termine motoristico. Gli abitanti del mondo sono ormai sette miliardi, le miniere e i giacimenti di combustibili fossili (carbone, gas metano e petrolio) sono in via di esaurimento e fra non molti anni si esauriranno, le discariche di rifiuti sono sempre più stracolme.
Se a tutto questo aggiungiamo i cambiamenti climatici (il surriscaldamento del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai), la crisi alimentare, l’impoverimento dei banchi ittici, la desertificazione e la deforestazione è facile comprendere che il tempo a nostra disposizione per decidere che cosa fare sta per finire.
Le simulazioni del Club di Roma del 1972, continuamente aggiornate, lo indicano da decenni: esistono dei limiti ben precisi alla crescita, non esiste la crescita infinita. I primi decenni del Ventunesimo Secolo o, se preferite, del Terzo Millennio saranno quelli della crisi globale, profonda, strutturale. Questo perché si tratta di una crisi che ha a che fare con le leggi fondamentali della fisica e non con la sovrastruttura economica recente, pura astrazione umana della quale la termodinamica non tiene alcun conto.
Alcuni economisti l’hanno capito da tempo ma non riescono a farsi comprendere dalla comunità internazionale. L’esempio più lampante è quello di Serge Latouche, sostenitore della cosiddetta “decrescita serena”, o “decrescita armonica” che dirsivoglia. Herman Daly ha teorizzato “l’economia dello stato stazionario”, al fine di conservare il livello di benessere raggiunto senza intaccare le riserve oltre il necessario. Tim Jackson ha elaborato recentemente il progetto governativo britannico “Prosperità senza crescita”, che sostiene esattamente le stesse necessità. In Italia Guido Viale ha fondato il “gruppo accademico sulla decrescita italiana”, il quale sostiene esattamente gli stessi princìpi.
Tuttavia non c’è il dibattito, non se ne parla e non se ne vuole parlare. Più esattamente è il potere che non vuole che se ne parli. La crescita non funziona più, il giocattolo si è rotto. Ed è inutile strillare, puntare i piedi perché venga riparato al più presto. Bisogna invece domandarsi perché il giocattolo si è rotto, per poi costruirne un altro più corrispondente alle nuove esigenze della società globale. Come si suol dire, un giocattolo “resiliente”.
Se c’è un progetto politico che l’Italia, prima che sia tardi, deve affrontare è quello della cosiddetta “resilienza”, proprietà che permette a un sistema di gestire in modo positivo uno choc esterno senza collassare, e le condizioni per il collasso ci sono tutte. Per capirci è utile fare un esempio: con il cibo che l’Europa scarta o getta nella spazzatura si potrebbe sfamare l’intera Africa. Questo è il punto.
Per diventare “resilienti” bisogna preparare ammortizzatori: l’Italia dovrebbe occuparsi di rendere i propri 60 milioni di cittadini “resilienti”, anziché concentrare risorse pubbliche sulla realizzazione di grandi opere faraoniche che garantiscono torbidi business per pochi. L’esempio più calzante è il Ponte sullo stretto: prima ancora di nascere ci è già costato miliardi di euro di fondi pubblici. Altrettanto dannoso sarebbe tentare di “rianimare” un sistema industriale arrivato al capolinea.
Bisogna invece concentrare le poche risorse rimaste per fare in modo che le persone non perdano le conquiste fondamentali della modernità, quelle che garantiscono una casa calda d’inverno e fresca d’estate, l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica e la cultura, la possibilità di spostarsi con una mobilità sobria ed ecosostenibile. E soprattutto evitare il rischio di trovarsi a soffrire di denutrizione, come succede in quasi tutto il pianeta escluso l’Occidente.
Si tratta di una “grande opera” di manutenzione capillare, a cominciare dalla riqualificazione energetica casa per casa. Le nostre abitazioni sono dei veri e propri “colabrodo”, la dispersione energetica è spaventosa, generano inquinamento e obbligano chi le abita a pagare bollette stratosferiche che in futuro aumenteranno sempre di più. Se oggi si facesse un buon investimento nel risanare gli edifici italiani, potremmo tagliare dal 30 all’80 per cento i consumi energetici domestici, liberando risorse oggi destinate all’acquisto di energia dall’estero.
Si spenderebbe subito, ma una casa risanata dura almeno cent’anni. Avanti quindi con i pannelli solari, le caldaie efficienti, i serramenti a bassa dispersione, l’isolamento termico dei muri e dei solai, il recupero dell’acqua piovana. C’è tantissimo lavoro innovativo da fare in questo senso, questo è uno dei punti forti della “resilienza”. Sappiamo che, qualsiasi cosa accada, avremo sempre un minimo di comfort nelle nostre abitazioni, senza dipendere completamente da fornitori esterni di energia.
Un altro punto fondamentale della “resilienza” è la cura di una certa autonomia e autosufficienza alimentare. Le imprese agricole vanno rilanciate. Tutte le case che hanno un pezzo di terra vi possono allestire un piccolo orto demestico. Questo tipo di intervento può essere fatto anche nelle città. In tutto il mondo ci sono progetti di orticultura urbana realizzata su spazi marginali di terreno che hanno la misura giusta per essere gestiti in piccoli appezzamenti e assegnati alle persone che risiedono nelle vicinanze. Può sembrare un progetto al ribasso, invece si tratta di coraggiosa avanguardia.
C’è da fare un grande investimento in questa fragile Italia per preparare la “resilienza” e diminuire così il rischio di problemi futuri in un mondo sempre più complesso. Per questo Mercalli ha intitolato il suo saggio Prepariamoci. Nel suo libro ci sono i primi modesti elementi per aprire questo dibattio urgente e necessario. Non si tratta di ricette pronte e definitive, si tratta di un invito a occuparsi di questi temi, a farsi sfiorare dal dubbio che crescita e consumi non siano la soluzione ai nostri problemi.
Dobbiamo fare in modo che, quando i problemi arriveranno (e siamo sicuri che arriveranno), ci devono trovare preparati ad affrontarli con gli strumenti adatti, non con strumenti inadatti, inappropriati, che potrebbero portarci solo alla sconfitta più clamorosa. Dal 7 settembre Luca Mercalli sarà presente al Festival della Letteratura di Mantova per parlare di questo argomento.
Titolo: Prepariamoci a vivere un mondo con meno risorse
Autore: Luca Mercalli
Editore: Chiarelettere
Collana: Reverse
Prezzo: € 14.00
Data di Pubblicazione: 2011
ISBN: 8861900127
ISBN-13: 9788861900127
Pagine: 205
Reparto: Ecologia e ambiente > Minacce ambientali
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