domenica 18 settembre 2011

Odiare la matematica


La scuola sta per ricominciare. In questi ultimi giorni di vacanze, quando al mare c'è poca gente e i bagnini sono già impegnati a riporre sdraio e ombrelloni per la prossima stagione, ho visto bambini e ragazzi di tutte le età, ai tavoli del mio stabilimento balneare, intenti a compitare con occhi spiritati, pagine e pagine di esercizi di matematica apparentemente di una noia mortale (ho evitato di indagare troppo, bastavano gli occhi spiritati). Alcuni di loro in realtà non hanno mai smesso durante l'estate. Questi ragazzi si stanno unendo ad un esercito in marcia, l'esercito di coloro che odiano la matematica.
Che ci sia un problema lo sappiamo tutti. Nonostante gli sforzi eroici di alcuni (molti) insegnanti validi e preparati, la quasi totalità degli studenti rimane con un'impressione profondamente sbagliata. Dopo 13 anni di studio (5 di elementari+ 3 di medie + 5 di superiori), la maggior parte delle persone, non solo in breve tempo avrà grosse difficoltà a fare un ragionamento matematico che vada al di là delle quattro operazioni (fate un test con un trentenne medio su cosa si ricordi della matematica studiata a scuola), ma soprattutto avrà sviluppato un'incredibile avversione verso questa scienza, che solo nel migliore dei casi si declinerà in un semplice riconoscimento di inadeguatezza ("proprio non la capivo") con annesso senso di colpa, quando non si sarà trasformata in un vero e duraturo disgusto (e odio verso i professori di matematica). È vero, questo succede un po' per tutte le materie. I capolavori della letteratura italiana e straniera, una volta passati per il "tritacarne scolastico", difficilmente conserveranno il loro fascino (incidentalmente, è forse una fortuna che parti essenziali della cultura contemporanea, come il cinema, i fumetti, la musica (non classica), la letteratura contemporanea, non vengano toccati in modo sostanziale dal suddetto tritacarne). Ma per la matematica questo problema è sicuramente più marcato.
Ha ragione Paul Lockart nel suo "A mathematician's lament" (tradotto in Italia con il titolo forse un po' disorientante "Contro l'ora di matematica") quando dice che il metodo usato per l'insegnamento della matematica oggi, corrisponderebbe per la musica a imparare tutta la notazione musicale e le regole dell'armonia senza mai arrivare a suonare una nota. Manca insomma la cosa principale, imparare ad affrontare problemi interessanti, e ci si concentra molto sulla nomenclatura (ascissa e ordinata, numeratore e denominatore, quoto (sic! mi sono dovuto far spiegare cosa fosse), apotema, minuendo e sottraendo, equazioni numeriche fratte), e su regole abbastanza inutili. Le regole sulle proporzioni che confondono solo le idee e poi, dopo un anno di esercizi, non si trova un adulto che capisca le percentuali(*). L'inutile regola di Ruffini. Le formule di prostaferesi, senza mai far vedere cose interessanti come il calcolo della distanza di oggetti reali con la trigonometria. La razionalizzazione, che forse nasce nei tempi in cui i numeri irrazionali non erano ben capiti e accettati, ma che non ha senso in nessun contesto moderno (ma perché non dovrei dividere per radice di 2?). Una matematica arbitraria, mnemonica che spegne le idee e si presenta con la spigolosità, e anche il fascino, di un contratto assicurativo dove siamo sempre noi ad avere le peggio (e un sacco di roba è scritta piccola piccola). Non ci si abitua ad avere delle idee, a impostare i problemi, a capire le connessioni tra le cose e mancano del tutto l'immaginazione e la fantasia, che invece sono ciò che meglio caratterizza la matematica.
Cosa si può fare allora concretamente per cambiare le cose? Di idee ce ne sono tante in giro, e il sito divulgativo Maddmaths! della Società Italiana di Matematica Applicata e Industriale, ha appena aperto un Forum per cercare di raccogliere idee per rendere più attraente l'insegnamento della matematica. Io intanto mi sono letto il bellissimo libro Matematica e Realtà di Emma Castelnuovo e Mario Barra (del 1976, ristampato nel 2000). Contiene i materiali del laboratorio svolto dal gruppo della Castelnuovo presso la scuola media (sic!) Tasso di Roma nel 1974. Ci sono rettangoli di area massima (ma anche solidi di volume massimo), il bellissimo Teorema di Pick (lo conoscete?), variazioni esotiche sul teorema di Pitagora (tipo le lunule di Ippocrate), Fibonacci, le spirali, le serie convergenti e divergenti, alcune proprietà bellissime della cicloide, definita come "la curva percorsa dalla vavola della nostra bicicletta" (per esempio si dimostra che l'area sotto la cicloide è 3 volte l'area del cerchio che la genera, cosa che Galileo ai suoi tempi non riuscì a calcolare), la topologia con la Formula di Eulero, i grafi e il problema dei ponti di Königsberg. Scrive la Castelnuovo, a proposito della Cicloide, subito dopo averne riportato la definizione presa da un testo universitario: "La definizione è concisa e rigorosa, ma nello stesso tempo arida e priva di ogni suggestione. Suona quasi come una frettolosa necrologia della cicloide stessa, e, tacendo sulle notizie storiche, le applicazioni e le proprietà di cui gode, viene presentata come un argomento di studio cervellotico, senza motivazioni. In particolare, si prescinde dalla considerazione che, per studiare bene qualsiasi cosa è necessario, se non proprio l'amore per l'argomento, almeno l'apprezzamento, la simpatia o il riconoscimento di un'utilità concreta. Inoltre spesso, avendo a disposizione degli strumenti molto potenti, si tende a limitare il piacere del ragionamento particolare e a soffocare l'intuizione e il saper vedere la matematica."
Potrebbe essere questo l'insegnamento più importante da tenere presente. Insomma servirebbe, da parte degli insegnanti in primo luogo, più che nuovi strumenti didattici o tecnologie o altre diavolerie (tipo Internet, che è una cosa bellissima, ma sembra diventata la soluzione a tutto quello che non vogliamo dover affrontare veramente), la riscoperta del senso del divertimento nel fare matematica. Bisognerebbe risvegliare le energie nascoste dei ragazzi, che di solito, quando vedono qualche formula entrano nel panico e bloccano qualsiasi processo mentale. Come dice il grande matematico Terence Tao (medaglia Fields 2006) in un bell'articolo tradotto dal suo blog, tra le qualità che un matematico deve sviluppare c'è sicuramente la capacità di fare domande stupide. Oggi questo non è incoraggiato nella scuola, e forse è da lì che bisogna ricominciare. Togliere la matematica dal piedistallo e portarla a spasso in cortile, tra l'altalena e i giochi con la palla. Che se fosse un disegno, non sarebbe la copia di quadri di autori famosi, ma disegni di bambini pieni di libertà, magari solo scarabocchi colorati. Che se fosse una musica, sarebbe imparare a trovare la propria, anche cominciando solo dal fare un rumore sgradevole per vedere l'effetto che fa, seguire un ritmo stupido che poi a un certo punto si fa interessante. Una matematica in cui si possa provare a dividere per zero e capire come questo comporti dei problemi (in fondo è da lì che sono partite le derivate, no?). Dove non ci siano "trucchi" o "regole", ma ragionamenti e intuizioni. Una matematica che porti a "vedere" e "capire" e non solo a "calcolare". Una matematica forse un po' meno formale e un po' più sostanziale. Il tempo per lavorare duro ci sarà sempre. Come per tutte le cose difficili, c'è un tempo per creare motivazione ed entusiasmo, e uno per un lavoro profondo e sistematico di assorbimento, per la costruzione di vere e proprie nuove connessioni cerebrali. Nessuno farebbe estenuanti allenamenti sportivi, o sessioni intensive di danza, se non fosse profondamente motivato a farlo. Ma se c'è la motivazione, non per forza uno straordinario talento innato, il resto viene molto (più) facile...

di Roberto Natalini

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