lunedì 29 novembre 2010

L'nfraordinario

L’immaginazione, la creatività, l’emotività sono caratteristiche uniche in ciascuno di noi, come altrettanto unico è il modo di vedere il mondo. L’unicum è ciascuno di noi, apprezzabile in quanto superiori tra gli esseri viventi grazie alle capacità intellettive, ma fallibili, dato che l’imperfezione fa parte dell’uomo. E così l’interpretazione che ciascuno di noi dà del mondo che lo circonda resta qualcosa di esclusivamente personale. Ciascuno ha la propria Weltanschauung, conseguenza di un proprio percorso formativo e culturale che è libero di arricchire come meglio crede. In uno Stato liberale e democratico, o quanto meno non totalitario, la letteratura, l’arte, le scienze e le religioni offrono un’ampia gamma di argomenti e spunti di riflessione: ognuno faccia le sue scelte.

Ma ecco il punto. Sarebbe importante che ognuno di noi dedicasse appunto un po’ del proprio tempo alla riflessione, ragionando su ciò che sta facendo, perché lo sta facendo, se gli sembra corretto il suo modus operandi e se siano condivisibili le sue scelte etiche. Sono riflessioni che possono sembrare insignificanti, ma che rivelano ciò che molti trascurano: l’autocoscienza di sé. Quel tesoro di conoscenza che è riposto nella nostra mente e che così spesso viene disperso. Viviamo sull’istante ma perdiamo l’“attimo fuggente”: proiettati negli impegni futuri e immobilizzati nelle recriminazioni passate perdiamo il senso del presente.

Ci viene imposta dai vari media, quotidianamente, una realtà abnorme, in cui i valori da perseguire sono denaro-bellezza-successo, una triade allucinante che produce stati di progressiva alterazione caratteriale, fino a far concepire l’esistenza come una continua vetrina in cui esibirsi ed omologarsi alle mode del momento. Così la nostra mente, sollecitata e iperstimolata, non regge all’impatto e non ha il tempo necessario per rielaborare e indagare criticamente su ciò che accade o che viene proposto.

Dobbiamo riappropriarci del nostro tempo e della nostra vita con uno sguardo cosciente e meditativo su ciò che ci circonda, che rifugga dall’ansia e dalle nevrosi, dobbiamo ritrovare la coscienza di noi stessi e riflettere sulla validità delle nostre scelte.

Nel libro di George Perec, L’infra-ordinario, Torino 1994 (http://tecalibri.altervista.org/P/PEREC_infra.htm), si tratta dell’incapacità dell’uomo di soffermarsi con maggior attenzione su ciò che è la vita di tutti i giorni: “Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?” Ciò che è abituale non è minimamente preso in considerazione, le “cose comuni”, che possono dire quello che siamo, sono trascurate, non diamo loro né “un senso” né “una lingua”. Forse è proprio la riflessione che ci può accompagnare in questo sguardo sulla quotidianità: facciamo in modo che le case, le vie, gli angoli e le persone che ci sono note e abituali ci dicano qualcosa, perché è lì che risiede la verità della nostra vita. La ricerca dell’evasione e dell’esotismo a tutti i costi ci allontana da ciò che ci è più vicino non solo logisticamente ma anche mentalmente ed affettivamente; abdichiamo alle sollecitazioni che ci inducono a non soffermarci mai a riflettere su ciò che stiamo osservando e vivendo. Questa frenesia e ricerca del fatuo diventa narcosi della coscienza di sè. Perec parla di “anestesia” e conclude: “Dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni”. Ma, al di là dei sogni, aggiungo io, è la mancanza di progettualità che uccide la coscienza

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