lunedì 25 ottobre 2010

Intervista all economista francese Serge Latouche: segnali positivi dalla green economy di Obama


«La decrescita non è una teoria. Per essere corretti si dovrebbe dire a-crescita. È uno slogan che vuole contrapporsi a un altro slogan, quello di sviluppo sostenibile: un ossimoro. Per la prima volta nella storia siamo di fronte alla prospettiva imminente di una catastrofe globale. Era già stata anticipata dal Club di Roma nel 1972, ora ci siamo. Non si tratta di chiedersi se la decrescita è possibile, ma di comprendere che è necessaria. E ovviamente non si tratta di ritornare all'età della pietra. In questo senso non siamo né modernisti né antimodernisti, siamo atei: guardiamo alla realtà. Ogni italiano, per esempio, consuma 4,5 ettari di terra contro una media sostenibile di 1,8. Significa che se tutti vivessero come voi ci vorrebbero tre pianeti». Ora che il mondo sta rallentando di brutto, vale la pena fare quattro chiacchiere con il teorico della «decrescita», l'economista francese Serge Latouche.


Di chi è la colpa di tutto ciò?
Siamo tutti tossicodipendenti di consumo e lavoro. Si può dire che i trafficanti sono le multinazionali, il capitale, ma non va dimenticata la nostra responsabilità di tossici. La responsabilità e la libertà individuale sono l'unica possibilità per uscire dalla dittatura del pensiero unico.


Come? Un altro mondo è davvero possibile?
Cominciamo ad analizzare la parola «mondo». Il nostro mondo, questo mondo, è il mondo della crescita globale, il mondo occidentalizzato. Se preferite, il mondo del capitalismo e della società di mercato in cui la crescita all'infinito è di per sé un fine al di là dei bisogni reali. È dai tempi di Adam Smith che l'Occidente sogna e progetta questo tipo di mondo. Con la rivoluzione industriale si cominciò a distruggere piccoli contadini e artigiani e a puntare sull'industria meccanizzata. La povertà si trasformò in miseria. I poveri persero anche la possibilità di arrangiarsi, di ritagliarsi uno spazio al margine dei sistemi di potere, di produzione e di consumo di massa. Ma il vero balzo in avanti, la realizzazione del sogno, avvenne con l'enorme disponibilità di energia fornita dal petrolio. Ora pensiamo alla parola «uno». Non bisogna immaginare un altro mondo possibile ma tanti altri mondi possibili. La decrescita non rappresenta un'alternativa unica ma vuole essere una matrice di tante diverse alternative. Il mercato globale, la verità assoluta, un mondo unico anche se diverso, se dominato da un pensiero unico, è soggiogato da una forma di totalitarismo soft. Bisogna invece avere il coraggio di liberare e di diversificare tante culture, tante verità relative, funzionali, pragmatiche, etiche, piuttosto che dogmi teorici tipici, non solo delle forme di potere e produzione, ma anche della filosofia occidentale. Ci vuole biodiversità sia per le culture che per le colture. Sia su piccola che su grande scala. Pensiamo soltanto alle culture amerinde che stanno cambiando l'America del Sud, il culto della pachamama ha portato per la prima volta al riconoscimento della terra come soggetto di diritto.


Di quale teoria assoluta parla?
La società di marketing, verità unica e globale. È basata su tre cardini nel tentativo impossibile di mascherare continue crisi di sovrapproduzione e sottoconsumo inevitabili in un mondo globale e in un mercato unico e finito. Dunque incompatibile con una crescita infinita. La pubblicità droga la domanda rendendoci drogati del consumo e convincendoci ad acquistare in modo compulsivo ciò di cui non abbiamo bisogno. L'obsolescenza programmata, ovvero il sistema «usa e getta», per cui un prodotto è subito vecchio, fuori moda o rotto, droga l'offerta, depaupera le risorse del pianeta, produce rifiuti e guerre. Il terzo espediente è il credito infinito, altro modo per drogare la domanda: consumare diventa un dovere civico, anche a costo di indebitarsi. Da qui ha origine la crisi che stiamo vivendo, partita dai subprime americani e dagli istituti finanziari. Il guaio è che questo potere è sempre più impersonale, non basta fare la rivoluzione e decapitare il re come abbiamo fatto noi francesi. Non illudetevi che questa crisi possa finire. La crisi è un fattore strutturale del mondo della crescita. La pagano tutti. Il presidente del Senegal ha detto di avere compassione per i banchieri bianchi, ma che in Africa sono in crisi da sempre e non possono neanche aiutare i banchieri perché non ne hanno.


Se non basta decapitare il re, concretamente come si cambia?
La questione del potere e della rappresentanza è un tema cruciale. Qualche segnale positivo c'è. Oltre alle culture amerinde, pensiamo alla green economy di Obama o ai verdi di Cohn Bendit e Bové che in Francia sono al 16%. Ma di fatto assistiamo a un paradosso: quanto più è necessario un cambiamento radicale globale, tanto più sono scomparse le forze politiche e i pensieri politici che possono agire questo cambiamento. La morte del comunismo ha lasciato come pensiero assoluto il liberismo. Manca una terza via. La sinistra è caduta nella trappola produttivista del mito della torta sempre più grande. Ha pensato possibile un accordo con il capitale per produrre sempre di più e spartirsi le fette della torta gigante, che ingrossandosi si avvelena e ci rende tutti tossicodipendenti. Si tratta di una forma di servitù volontaria al potere del consumo e del lavoro.


La sinistra è produttivista anche perché figlia del movimento operaio, che fa del lavoro e della fabbrica un archetipo. Anche i movimenti degli anni '60 hanno lottato contro l'ingiustizia economica del sistema, ma forse è mancata la coscienza della imminente catastrofe biologica del pianeta. Eppure l'ambientalismo è nato a sinistra, e fa parte della storia del movimento operaio la lotta per la riduzione dell'orario di lavoro. Come si esce da questa dicotomia?
La spartizione della torta ovviamente non è solo una questione economica ma anche di potere politico. La decrescita è anche un modo di non prestarsi al gioco della spartizione del potere. La democrazia è la forma politica del liberismo: c'è un legame stretto tra crescita infinita in economia e democrazia in politica. In questo senso la sinistra in occidente è caduta nel miraggio del potere: propone sempre più spesso solo un'alternanza di dirigenza al governo, ma non di sistema. Per questo non basta votare, delegare, bisogna essere attori, scegliere e inventare in prima persona la propria via alla decrescita.


Non mi dirà che spera in una regressione a forme di autarchia individuale.
L'uomo ha una dimensione collettiva, dunque politica. Ma la politica politicante e rappresentativa è incoerente e ipocrita. Ci vuole pratica ed etica politica, non dimenticate l'importanza della responsabilità individuale dei tossici del consumo e del lavoro.


Sì, ma c'è un altro paradosso. Stati e individui poveri vogliono diventare ricchi, non decrescere. Per molti la sua è una teoria snob: decresce chi se lo può permettere, roba da ricchi, insomma...
È vero, i paesi del sud del mondo vogliono diventare ricchi e occidentali, ma questa scelta li sta distruggendo. La scelta di muoversi in direzioni diverse è l'unica che li può e ci può salvare. E tutti la possiamo fare.



Giorgio Salvetti
Fonte: Il Manifesto

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