martedì 11 maggio 2010

L’era del petrolio è finita, la Terza rivoluzione industriale incalza.

L’era del petrolio è finita, la Terza rivoluzione industriale incalza. La guiderà la Millennium generation, con fonti rinnovabili e una super-rete gestita come un social network. Tutto sarà condiviso. Tutti saranno leader. Parola dell’economista che vede il futuro.
Siamo nelle loro mani. Adolescenti «cre­sciuti con internet, abituati a condivi­dere informazioni e a ritrovarsi in spazi sociali come YouTube, Wikipedia, Facebook». Giovani che, come mai nessun essere umano prima, provano empatia con i propri simili, oltre ogni discriminazione di sesso o razza, e con tutte le creature del pianeta. Simili agli uomini blu di Avatar, anzi meglio di loro perché figli di una civiltà ben più complessa e matura. «La sfida che attende i ragazzi del Millennio è enorme, spero solo che facciano in tempo», preannuncia Jeremy Rifkin, mente della Fondazione sui trend economici e consi­gliere di molti leader, politici e non.
In tempo per cosa Professor Rifkin?
«Per salvare l’equilibrio della Terra. Per evita­re l’estinzione della specie umana in questo secolo. Sono state fatte molte previsioni apo­calittiche nella storia e nessuna si è rivela­ta vera, in passato. Ma i dati scientifici oggi parlano chiaro. Noi umani rappresentiamo appena l’1 % della biomassa terrestre eppure consumiamo il 24% dell’energia prodotta con la fotosintesi, che è la vera economia di base del pianeta. Siamo dei mostri. Il rialzo del prezzo del petrolio nel 2008, il collasso finan­ziario, l’incapacità di agire dei leader al verti­ce sull’ambiente di Copenhagen: sono segnali che il motore industriale s’è spento. Saremo 9 miliardi fra trent’anni, insostenibile».
Cosa abbiamo sbagliato?
«Stiamo usando idee vecchie, totalmente inappropriate, per affrontare il XXI secolo. Gli illuministi come John Locke e Adam Smith pensavano che l’uomo fosse competi­tivo, materialista, utilitarista, razionale … Se fossimo davvero così, saremmo finiti».
Invece, come siamo?
«La scienza, la biologia evolutiva e in par­ticolare la scoperta dei neuroni specchio a opera di un’équipe di ricercatori di Parma, guidati da Giacomo Rizzolatti, hanno rivelato che gli esseri umani non nascono con alcuna predisposizione a essere aggressivi, competi­tivi o egoisti. Tutt’altro, il nostro “software” biologico ci predispone a essere empatici, a trascendere noi stessi, la nostra individualità, per provare il dolore degli altri e celebrare una comune gioia di vivere».
Perché i nostri figli dovrebbero far meglio di noi?
«Il loro cervello lavora in modo diverso dal no­stro, così come la nostra mente non è uguale a quella dei signorotti medievali. Ogni volta che nuovi regimi energetici s’incontrano con nuo­vi modi di comunicare, le civiltà e la coscienza fanno un salto in avanti. La prima rivoluzione industriale è esplosa quando una nuova ge­nerazione cresciuta con l’alfabetizzazione di massa ha iniziato a organizzare l’economia basata su carbone, vapore, ferrovia. Nel XX se­colo è avvenuta un’altra convergenza: l’inven­zione del telefono e poi di radio, televisione e cinema s’è incontrata con l’era del petrolio e ha dato vita alla seconda rivoluzione industriale. A ogni salto della storia, la coscienza si evolve e aumenta l’empatia».
In che modo?
«Nelle culture orali, l’empatia si limita alla famiglia e ai membri del villaggio. Chiun­que fuori da esso è il nemico. All’epoca delle grandi società agricolo-idrauliche, con l’arri­vo della scrittura, del calcolo e delle religioni monoteiste, l’empatia si espande ai legami di associazione. La rivoluzione industriale crea una nuova finzione, gli stati nazionali, e così nascono la coscienza ideologica e poi quella psicologica. L’empatia è il collante sociale che permette a uomini sempre più individualisti di integrarsi in famiglie fittizie più estese».
Cosa cambia, oggi?
«La generazione del Millennio comincia a provare empatia oltre i confini nazionali o i legami di sangue, la nostra famiglia allargata diventa tutta la specie umana e anche le altre creature sulla Terra iniziano a farne parte. È una nuova comunità, la biosfera. La sfida di questa generazione è riuscire a raggiungere l’empatia globale prima dell’estinzione».
Lei parla di terza rivoluzione industriali, ossia?
«È in corso una nuova convergenza tra co­municazione ed energia che darà forma a questa coscienza biosferica. Da un lato c’è la potentissima rivoluzione di internet che, a differenza del sistema fondato su telefono o tv, è estremamente decentralizzata. I ragazzi creano testi, video, musica o qualsiasi altro messaggio digitale e li condividono, simulta­neamente, con altri due miliardi di persone online. Questo ha cambiato radicalmente il modo in cui il loro cervello è wired, come interagiscono i loro neuroni. Dall’altro lato, c’è l’energia distribuita, quella che si trova in ogni angolo della Terra: il sole, il vento, il ca­lore dal sottosuolo … Carbone e petrolio sono fonti al tramonto. È tempo di una nuova rivo­luzione industriale, basata su quattro pilastri.
Uno: energie rinnovabili.
Due: ogni edificio – casa, ufficio, scuola – diventa una piccola centrale energetica.
Tre: investimenti nella ricerca sull’idrogeno, per stoccare l’energia così come immagazziniamo i dati sui supporti digitali.
Quattro: dobbiamo usare la stessa tecnologia che ha creato internet per pren­dere l’energia prodotta in Italia, Germania o qualsiasi altro Paese e inserirla in una rete comune.
Lo scenario è fatto da milioni di per­sone che producono localmente, nei propri edifici, l’energia; la stoccano sotto forma di idrogeno e quando non serve la condividono, distribuendola in reti intelligenti, così come fanno con le informazioni online. Per una generazione cresciuta a latte e internet sarà assolutamente naturale. Ognuno diventa un piccolo imprenditore ma condivide ciò che produce. È il capitalismo distribuito o il so­cialismo cooperativo».
Destra e sinistra si incontrano?
«La vecchia politica fondata sui concetti di destra e sinistra è morta. La nuova politica non parlerà più questi linguaggi. La divisione non è più ideologica ma generazionale tra chi pensa in modo centralizzato, patriarcale, dall’alto al basso, e chi pensa in modo distri­buito, open source, condiviso.
Il sistema ner­voso centrale della generazione del Millennio è una blogosfera. Non puoi vivere più da solo, ogni ragazzino oggi sa che il cibo che mangia, il vestito che indossa, l’elettricità che usa in casa o la benzina che consuma l’auto di fami­glia hanno un footprint, un’impronta ecolo­gica che colpisce il benessere di qualcun altro nella biosfera. lo ho 65 anni e ricordo bene quando, nel 1969, gli astronauti dell’Apollo fotografarono per la prima volta la Terra da lassù. Quelle foto sono finite sui poster di tutte le nostre case. Mostravano come è bello, vivo, fragile e colorato il nostro pianeta. I ragazzi oggi sono andati oltre. Chattano online con il Giappone e scoprono su googlemaps dove vive quel loro amico non più lontano, fino ad arrivare alla porta di casa sua».
Strumento potentissimo, ma siamo sicuri che i ragazzi lo stiano usando nel modo migliore?
«Se internet serve solo per divertirsi, per so­cializzare e scambiare musica o chiacchiere, beh … è un colossale spreco di energia umana. Usiamolo per collegare la specie umana in un’unica famiglia, per rafforzare l’empatia globale. Sta già avvenendo, pensate come ha reagito la comunità in rete durante le prote­ste in Iran o dopo il terremoto di Haiti».
Nel libro arriva a dire che il metodo scientifico non funziona più, che per studiare il mondo che ci cir­conda dobbiamo provare empatia con la natura.
Dobbiamo rivoluzionare anche le scuole?
«In parte sì. Il metodo d’insegnamento con cui siamo cresciuti è stato il prodotto dell’il­luminismo. L’obiettivo era esplorare la natura razionalmente per poterla sfruttare material­mente. Col tempo abbiamo scoperto che solo attraverso un’esperienza condivisa possiamo davvero capire la realtà che ci circonda. È la scienza empatica con cui Jane Goodall, per esempio, ha studiato gli scimpanzé: li osser­vava non da troppo vicino né da troppo lonta­no, ha dato loro dei nomi ed è diventata parte della periferia della loro società, senza mai entrarvi. In trent’anni ha imparato più lei sul comportamento animale di quanto avessero fatto tutti gli etologi prima di lei».
Molti speravano in Obama, e oggi si dicono delusi. Quanto tempo dovremo ancora aspettare il leader che sappia anticipare le sfide del nostro tempo?
«La Millennium generation non vuole leader, pensa “noi tutti insieme siamo il leader”».
Anarchia?
«I ragazzi non amano l’autorità, vogliono collaborazione e condivisione. Ai giovani non piacciono i partiti, perché sono centralizzati, patriarcali. È la cifra di questa generazione: quando sono al computer parlano tutti insie­me, simultaneamente, senza moderatore. De­centralizzeranno e democratizzeranno l’ener­gia e lo stesso faranno con la leadership».
Lei parla di giovani con il computer, middle class, che vivono in Paesi industrializzati. Nel resto del mondo lottano per sopravvivere …
«È vero. Il 40% degli esseri umani vive con me­no di 2 dollari al giorno, praticamente non inquina e non ha le forze per empatizzare con gli orsi polari perché lotta per sopravvivere. C’è un gap da riempire».
Come?
«Dipende da come la nuova generazione riu­scirà a ripensare il concetto di felicità. Dall’il­luminismo in poi felicità ha significato accu­mulazione della proprietà privata: sei felice se possiedi di più e quindi sei più libero. Era il sogno americano. Oggi il sogno sta cambian­do. Nel mondo sviluppato, il nuovo sogno, molto europeo, si chiama “qualità della vita” ed è un’aspirazione collettiva che richiede azioni congiunte. Vivere in un ambiente non inquinato o sicuro è un obiettivo collettivo».
Quali consigli darebbe a un ragazzo di oggi?
«Di provare empatia sempre, e pazientemen­te, per ogni individuo o animale con cui entra in contatto. Per sentirsi più vivo».
Pazientemente, perché usa questo termine?
«Uno dei problemi più gravi fra i ragazzi è la perdita d’attenzione. Sono molto più “inclusivi” di noi ma molto meno pazienti perché sono travolti da una massa enorme di informazioni. Lavorano a quattro cose si­multaneamente sullo schermo e passano con­tinuamente da una all’altra, in un disperato tentativo di essere parte di tutto. Ma nessuno può essere empatico se non presta la necessa­ria attenzione. E c’è un altro rischio. Nel corso della storia, il linguaggio è diventato sempre più sofisticato. Per la prima volta oggi avviene il contrario: siamo sempre più interconnessi ma perdiamo proprietà di linguaggio. Quin­di, ragazzo, cerca di trovare un equilibrio tra la tua vita nel cyberspazio e la tua vita nella realtà. Usa Twitter ma continua a leggere li­bri per non perdere le parole che esprimono la tua empatia. E non chiuderti in casa, esci e vai a spasso nella natura».

1 commento:

Luis ha detto...

Mi e' sembrato un testo più' che realistico.

Luigi